Nella storia del jazz, lo sviluppo esponenziale della discografia indipendente europea è cominciato alla fine degli anni Sessanta, quando nel giro di un decennio sono nate etichette destinate a durare nel tempo, alcune delle quali, costituitesi sull’onda della passione dei loro fondatori, sono diventate case discografiche di riferimento internazionale.
Era già successo negli Stati Uniti con marchi famosissimi quali la Commodore, la Blue Note, la Verve, la Riverside, la Prestige (acquisiti poi, nel corso del tempo, dalle grandi multinazionali del disco). È poi avvenuto in Europa con la ECM, la Enja, la Act, la Criss Cross e altre ancora, tra cui le italiane Black Saint, Soul Note e appunto la Red Records. Nel loro insieme queste etichette hanno in catalogo un patrimonio sonoro fondamentale per la documentazione dell’ultimo mezzo secolo di vita jazzistica. La Red nasce in quegli anni, precisamente a Milano nel 1976, su iniziativa di Sergio Veschi, che è rimasto per quarantacinque anni alla guida di questa autentica indie. È affiancato da un noto promoter, Alberto Alberti, rimasto poi vicino all’etichetta sino all’inizio degli anni Novanta. Fu grazie a lui che Veschi entrò nell’ambiente del jazz: prima organizzando per conto del Movimento Studentesco una serie di importanti concerti all’Università Statale di Milano (vi presero parte Max Roach, Mal Waldron, Don Cherry), poi realizzando l’importante e seminale rassegna “Nuove tendenze del Jazz italiano”, infine fondando la Red, punto culminante di quelle esperienze. Nonostante il nome recasse anche una connotazione politica, Red significava in realtà “Registrazioni Edizioni Discografiche”, marchio al quale furono presto affiancate le edizioni musicali Crepuscule.
Sam Rivers (ph: M. Boscolo)
La Red nasce in quegli anni, precisamente a Milano nel 1976, su iniziativa di Sergio Veschi, che è rimasto per quarantacinque anni alla guida di questa autentica indie.
Sergio Veschi / Alberto Alberti (ph: M. Boscolo)
Il debutto avvenne con il disco Quest, del trio del sassofonista e flautista afroamericano Sam Rivers, con Dave Holland e Barry Altschul. Un trio che allora era al culmine della popolarità, tanto che l’album è tuttora il più venduto nella storia dell’etichetta. La Fratelli Fabbri Editori ne acquistò i diritti per inserirlo nella sua collana “I grandi del jazz”, vendendone nelle edicole ben quarantamila copie, che si aggiunsero alle quasi quindicimila vendute direttamente dalla Red. Un exploit raggiunto solo dai due dischi del sassofonista Joe Henderson An Evening With Joe Henderson e The Standard Joe, che a metà degli anni Ottanta contribuirono al rilancio internazionale del grande artista neroamericano (insieme ad alcuni dischi Blue Note), concretizzatosi poi con il passaggio alla Verve. Dopo Rivers è cominciata un’attività produttiva che ha avuto il suo fulcro nell’attenzione, rinnovatasi anno dopo anno, per i giovani musicisti, italiani e stranieri, e per quegli artisti emergenti che proprio grazie ai dischi incisi per l’etichetta hanno poi ottenuto ampi riconoscimenti.
Nei primi anni si evidenziava una certa eterogeneità stilistica, figlia del desiderio di cogliere “lo spirito dei tempi”, di registrare “la musica che è nell’aria”, e allora era molta, per citare gli slogan ai quali la Red ha sempre cercato di mantenersi fedele. Nei primi album prodotti troviamo artisti di grande rilievo quali: il sassofonista David Murray e il pianista Anthony Davis – vincitore di un Pullitzer per la musica nel 2020 che fece il suo esordio discografico a proprio nome con la Red -, il violinista Leroy Jenkins, il violoncellista Abdul Wadud, un sassofonista compositore quale Julius Hemphill, tutti legati al clima avantgarde dell’epoca. Si affiancano le due straordinarie solo performance del sopranista Steve Lacy: Axieme vol. 1 e 2 e il notevole Ramblin’ With Bley, del trio del pianista canadese Paul Bley, che poi pubblicherà per l’etichetta anche il notevole e inusuale Blues for Red in piano solo. Ma già non mancavano i segni di quell’interesse per il Modern Mainstream di derivazione hard-bop: il duo tra il pianista James Williams e il contrabbassista Dennis Irwin, al tempo membri dei Jazz Messengers Blakeyani, il quintetto italiano dello storico trombonista Kay Winding, oltre al primo disco come leader di un batterista di assoluto rilievo quale Billy Higgins, che con Soweto prendeva posizione sulla drammatica condizione sociale causata dall’apartheid sudafricano.
Marco Pennisi e Alberto Alberti una partita a carte dopo un sound check (1992)
A sinistra. Margherita Pennisi a due anni con Sergio Veschi ad Acireale nel 1989 nei giorni precedenti le registrazioni live di Jim Snidero, Steve Nelson e Bergonzi (quest’ultima mai pubblicata).
Marco Pennisi e Alberto Alberti una partita a carte dopo un sound check (1992)
In alto. Margherita Pennisi a due anni con Sergio Veschi ad Acireale nel 1989 nei giorni precedenti le registrazioni live di Jim Snidero, Steve Nelson e Bergonzi (quest’ultima mai pubblicata).
Bobby Watson e Sergio Veschi
A destra. Dopo festival a casa. Marco (a sinistra), Nicola Arigliano (in piedi), Alberto (a destra). Alberto sosteneva che in Sicilia si mangiava benissimo “ovunque, tranne a casa di Marco”.
Bobby Watson e Sergio Veschi
In basso. Dopo festival a casa. Marco (a sinistra), Nicola Arigliano (in piedi), Alberto (a destra). Alberto sosteneva che in Sicilia si mangiava benissimo “ovunque, tranne a casa di Marco”.
Del resto, lo sguardo ampio e attento al jazz italiano è una delle caratteristiche del catalogo della casa milanese, che condivide la sua storia con quella del grande periodo di fioritura di nuovi talenti nazionali.
Naturalmente era già nutrita la presenza di gruppi italiani, a partire dalle formazioni blues allora molto in voga, come quella di Fabio Treves e la Delta Blues Band, per passare poi ad artisti della nouvelle vague nazionale quali i Virtuosi di Cave, il trio Schiaffini-Iannaccone-Colombo, le formazioni di Mario Schiano, gli Ziggurat di Claudio Angeleri e Tino Tracanna, quindi Piero Bassini. Su quest’ultimo, pianista di grande talento, l’etichetta fece una scommessa che la portò a fargli incidere, già negli anni Settanta, due dischi in solo, Tonalità e Open Form Contrast. Due lavori anticipatori del talento di questo singolare musicista, che avrebbe poi regalato pagine importanti al catalogo italiano dell’etichetta sia con l’Open Form Trio (con Attilio Zanchi e Giampiero Prina), sia con il proprio trio sempre con Prina, ma Furio Di Castri al contrabbasso. Con le settemila copie vendute di Nostalgia divenne, ed è ancora, il bestseller italiano dell’etichetta. I dischi di Bassini sono uno degli esempi della coraggiosa linea produttiva della Red, che ha sempre voluto offrire opportunità serie e importanti a quei giovani meritevoli di attenzione e, quindi, di investimenti.
Del resto, lo sguardo ampio e attento al jazz italiano è una delle caratteristiche del catalogo della casa milanese, che condivide la sua storia con quella del grande periodo di fioritura di nuovi talenti nazionali. Anzi, la stessa nascita della Red è il frutto dello sviluppo del jazz suonato, parlato, prodotto e organizzato in Italia avvenuto a partire dalla metà degli anni Settanta. Oltre a Bassini, il cui Open Form Trio trovò visibilità internazionale grazie all’incontro con l’altosassofonista afroamericano Bobby Watson, altri due casi esemplari dall’attenzione alla scena italiana sono quelli di Massimo Urbani e Franco D’Andrea. Il sassofonista romano diventò un simbolo del catalogo Red grazie alla sua prorompente musicalità, al groove, al profondo feeling e al senso dello swing che animavano la sua musica e forse incarnavano, per Veschi e Alberti, l’idea stessa di jazz. Da 360° Aeutopia, del 1979, pluripremiato dalla critica italiana, sino al postumo The Blessing, la Red ha sempre sostenuto e promosso la musica di Urbani, contribuendo più di chiunque altro alla formazione del suo mito.
Franco D’Andrea, pianista già affermato, approdò alla Red nel 1980. Trovò nell’etichetta il luogo ideale per far crescere il suo nuovo discorso artistico, maturato lentamente dopo lo scioglimento del gruppo Perigeo. Due superbe opere per pianoforte solo, Dialogues With Super Ego ed Es, mirabile esempio di contemporaneità jazzistica di matrice europea, che al mondo musicale statunitense univa nuove soluzioni armoniche e una poliritmia derivata dallo studio della musica africana. Da quel momento, e per molti anni, D’Andrea inciderà regolarmente per la Red, portando all’affermazione anche l’eccellente quartetto con Tino Tracanna, Attilio Zanchi e Gianni Cazzola, con cui fece incetta di premi della critica. Il fronte italiano della Red è però arricchito anche da moltissimi altri artisti, di generazioni e stili differenti, che insieme ai nomi già citati offrono uno spaccato di rilevante portata storica del jazz nazionale, un imprescindibile documento di studio degli ultimi decenni di storia jazzistica in Italia.
Giovanni Tommaso, Flavio Boltro, Salvatore Bonafede, Mario Rusca, Roberto Ottaviano, Maurizio Giammarco, i Nexus, Fabrizio Bosso, Fabio Morgera, Salvatore Tranchini, Piero Odorici, Carlo Atti, Nicola Mingo, Michele Bozza, Pietro Condorelli tra i tanti rappresentano un mondo musicale eterogeneo, un simbolo del rinascimento jazzistico che ha interessato la penisola nell’ultimo mezzo secolo.
Prina, Zanchi, Watson, Bassini al Capolinea (ph: G. Minora)
L’ampio catalogo internazionale della Red necessitava ugualmente di trovare delle figure simbolo della linea editoriale di un marchio che Joe Henderson definì “La Blue Note europea”, non nel senso di “copia” del lavoro anni Sessanta della celebre etichetta di Lion e Wolff, ma di “ruolo”, di concezione del jazz, di azione rivolta alla ricerca di quei musicisti che propongono una visione attuale del fare musica in quell’ambito espressivo. In questo senso i musicisti di riferimento si possono identificare in Bobby Watson, Jerry Bergonzi, Cedar Walton e il quartetto Sphere.
L’ampio catalogo internazionale della Red necessitava ugualmente di trovare delle figure simbolo della linea editoriale di un marchio che Joe Henderson definì “La Blue Note europea”, non nel senso di “copia” del lavoro anni Sessanta della celebre etichetta di Lion e Wolff, ma di “ruolo”, di concezione del jazz, di azione rivolta alla ricerca di quei musicisti che propongono una visione attuale del fare musica in quell’ambito espressivo. In questo senso i musicisti di riferimento si possono identificare in Bobby Watson, Jerry Bergonzi, Cedar Walton e il quartetto Sphere.
Il primo è forse il nome più emblematico dell’etichetta, almeno da quando la linea editoriale ha privilegiato il Modern e il Contemporary mainstream. Lanciato da Art Blakey, di cui è stato anche il direttore musicale, Watson ha inciso nel 1983 il primo di tanti album per la Red (Perpetual Groove, con l’Open Form Trio), in cui già si evidenzia il legame con la grande tradizione del sound jazzistico unita a un solismo torrenziale, trascinante nei tempi veloci, contenuto e lirico nelle ballad e con il gusto per le melodie ariose e solari. Ancora più rilevanti sono poi stati Appointment in Milano, inserito dal giornale londinese Sunday Times tra i migliori dischi del 1986, Round Trip e i dischi con il quartetto americano, come Love Remains. Quest’ultimo, è entrato a far parte del juke box multimediale del Kansas City Jazz Museum, considerato dalla guida Penguin tra i migliori cento dischi della storia del jazz e un top della produzione anni Ottanta. La Red ha documentato anche l’unico solo album del sassofonista, This Little Light Of Mine, e due dischi del suo formidabile 29th Street Saxophone Quartet, sicuramente uno dei più importanti quartetti di sassofoni operanti tra gli anni Ottanta e il successivo decennio.
Quando è approdato alla Red, Cedar Walton era invece un pianista dallo status consolidato, un maestro che manteneva viva, aggiornandola, la tradizione powelliana, restando lontano dalle seduzioni che il mondo classico esercitava su non pochi pianisti suoi contemporanei. I tre volumi titolati The Trio, con David Williams e Billy Higgins, sono non a caso un esempio ancora attuale della linea più black del piano trio jazzistico. Anche i notevoli dischi in solo, duo e quintetto (Cedar’s Blues, dove al trio si uniscono Curtis Fuller e Bob Berg) sono ugualmente rilevanti e mettono in luce le doti di brillante compositore del pianista afroamericano. Un altro nome influente tra i pianisti che hanno registrato per l’etichetta è quello di Kenny Barron, protagonista soprattutto con il quartetto Sphere, considerato dal critico Stanley Crouch il più importante combo della recente storia jazzistica e specializzato nell’esecuzione in chiave contemporanea della musica di Monk (ma non solo), che oltre al bassista Buster Williams annoverava tra le sue file appunto due grandi ex-monkiani, il sassofonista Charlie Rouse e il batterista Ben Riley. Per la Red il Gruppo ha inciso Sphere On Tour e Pumpinks Delight, Cd nei quali si viene a contatto con la sintesi linguistica di cinquant’anni di storia del jazz, realizzata con un feeling e motivazioni forti Barron ha poi lasciato un’altra rilevante testimonianza nel catalogo, con il duo con Buster Williams titolato Two As One.
Sassofonista dall’eccellente magistero strumentistico, docente ricercato dagli studenti di tutto il mondo, membro per anni del quartetto di Dave Brubleck, Jerry Bergonzi (parente alla lontana del tenore Carlo Bergonzi) è stato invece una scommessa artisticamente riuscita, anche se la sua popolarità non ha mai valicato l’ambito del “musicista per musicisti”. Il suo rapporto con la tradizione coltraniana è tra i più articolati e originali a livello assoluto, ma sono stati la profondità della sua ricerca linguistica e spirituale e la sincerità del suo eloquio a suscitare l’interesse della Red. Nel disco Emergence, del 1993, intestato per sole ragioni contrattuali al batterista danese Alex Riel, ha realizzato una delle pagine per trio sax-basso-batteria più rilevanti dell’ultimo mezzo secolo, mentre con Lineage ha pubblicato un impressionante tour de force sassofonistico, in cui Bergonzi incontra Mulgrew Miller, Dave Santoro e Adam Nussbaum.
Walter Davis Jr. (ph: E. Carminati)
Il firmamento internazionale della Red si compone poi di un’ampia costellazione di artisti di primo piano e tra loro spiccano tre sassofonisti quali Steve Grossman, di cui sono stati pubblicati gli eccellenti trii di Way Out East vol. 1 e 2 e Love Is The Thing con il trio di Walton, testimonianze tra le più significative dell’intero percorso artistico del sassofonista americano, Dave Liebman, del quale è stato stimolato il coté più legato agli standard jazzistici, e il compianto Bob Berg, che ha trovato spazio come leader proprio grazie alla Red. Ci sono poi il citato Billy Higgins, i pianisti Walter Davis Jr (autore di un pregevole disco di solo piano), Ronnie Matthews e Walter Bishop Jr., eredi di una grande tradizione boppistica trasformata con intelligenza nel corso degli anni e che si possono ascoltare in rari album da leader. Rilevante è stata poi la collaborazione con il batterista Victor Lewis, un maestro dello strumento la cui filosofia musicale, definita da lui stesso Traditional Progressive Jazz, coincide con quella dello storico patron dell’etichetta, il quale ha più volte sottolineato che “Il jazz è tradizione in movimento, è un linguaggio con delle regole consolidate nel corso del tempo, che lascia ai musicisti la massima libertà all’interno di una rigorosa disciplina linguistica”. A queste personalità si sono aggiunte quelle di artisti quali Fred Hersch, che ha inciso due album con il gruppo ETC, uno con Jerry Bergonzi al sax tenore, Jim Snidero, Dave Binney, J.D. Allen, Robert Stewart, Steve Nelson, alcuni già conosciuti all’epoca delle registrazioni per la Red, altri lanciati dall’etichetta secondo quella politica di ricerca e sostegno di nuovi talenti che ha sempre caratterizzato la sua linea editoriale. Ma dal catalogo non mancano nemmeno pagine legate al trascinante groove dell’organ trio, come quelle dell’hammonidsta Jack McDuff.
Un discorso a parte lo meritano tre grandi artefici della storia del jazz: Chet Baker, Woody Shaw e Phil Woods.
Un discorso a parte lo meritano tre grandi artefici della storia del jazz: Chet Baker, Woody Shaw e Phil Woods. Del primo la Red ha pubblicato lo storico Chet Baker at Capolinea, del 1983, una delle migliori prove dell’ultima stagione del carismatico trombettista americano. Del secondo, musicista assai poco registrato, c’è il live del 1983, in cui è colto a Bologna in quintetto nello splendido Time Is Right. Infine, c’è Phil Woods, registrato in Europa con uno dei suoi migliori quintetti, quello con la tromba di Tom Harrell in Integrity. Poi in quartetto in European Tour Live, con al piano Mike Melillo, a cui successivamente la Red ha offerto diverse chance discografiche facendo conoscere le qualità di un musicista moderno, ma profondo conoscitore della tradizione del piano jazz.
Sin dal disco dell’Ethnic Heritage Ensemble, Impressions del 1981, si nota poi nella produzione Red anche l’esistenza di un filone nel quale il jazz nutre in maniera sotterranea musiche dalla forte componente “locale”, geograficamente extra-occidentali. Un’anima glocal, che portava la produzione a sostenere un jazz concepito lontano da New York, che teneva conto di un linguaggio “localizzato”, ma anche “globalizzato” perché il suo cuore era sempre statunitense. In sostanza, queste produzioni consideravano il jazz come un paesaggio dell’anima all’interno di culture locali, soprattutto sudamericane. Così, proprio il mondo latino è presente a vari livelli nel catalogo, a partire dai percussionisti Ray Mantilla e Luis Agudo, magistrale percussionista argentino cresciuto in Brasile, i cui album Afrorera e Afrosamba mettono pienamente in luce le sue qualità di colorista.
Tra gli altri percussionisti di prima grandezza, Nanà Vasconcelos e Norberto Minichillo, il sassofonista argentino scoperto dalla Red Hector Costita Bisignani, unitamente ai musicisti lanciati a cavallo del nuovo millennio.
Al Foster (ph: E.Carminati) / Kenny Barron (ph. P.Ninfa) / Charlie Rouse (ph. M.Boscolo)
Proprio con il cambio di secolo, però, l’etichetta ha dovuto fare i conti con la progressiva riduzione del mercato discografico e l’avvento sempre più dirompente della cosiddetta “musica liquida”, cioè quella che per l’ascolto prescinde dai tradizionali mezzi fonografici di riproduzione sonora, e questo ha portato la Red Records a modificare le sue strategie produttive in linea con l’intero mondo della discografia.
Ha così prevalso la valorizzazione del superbo catalogo costruito in un quarto di secolo di lavoro e di passione, nel quale, come abbiamo visto, si trova uno spaccato significativo della storia del jazz dagli anni Settanta in avanti. Ciò non ha comunque interrotto completamente la realizzazione di nuovi dischi, condotta secondo la consueta logica di scoperta e valorizzazione di giovani o poco conosciuti talenti del jazz che ha da sempre caratterizzato la filosofia dell’etichetta. Lo dimostrano i dischi di musicisti portati alla ribalta dall’etichetta, come l’introspettivo chitarrista argentino di origini polacche Pablo Bobrowicky, entrato a far parte del catalogo della Red alla fine dello scorso millennio e, prima di scomparire prematuramente, periodicamente registrato. Con lui è proseguita quella linea dedicata alle periferie del jazz, ai luoghi geograficamente centrifughi rispetto alle capitali mondiali di questa musica, inaugurata all’inizio degli anni Ottanta nella linea di un terzomondismo jazzistico o etno jazz, come chiamato dal produttore.
Appartengono a questa dimensione espressiva anche il trio cubano-brasiliano Mani Padme, protagonista di una musica ipnotica, più classicheggiante che legata all’estroversione ritmica di Caraibi e Sudamerica. Il pianista venezuelano Edward Simon, sottilmente legato ai suoi ritmi natii, ma anche raffinato poeta di un jazz dalle molteplici sfumature sonore e armoniche. Un altro pianista, Markelian Kapedani, albanese di nobili origini che porta un retroterra folk-balcanico nel suo contemporaneo modo di trattare lo strumento, non privo di riferimenti al classicismo del Novecento, Bartok in primis. Tra i nuovi talenti e le riscoperte, la chitarrista Dida Pelled ha avuto il suo battesimo discografico con un padrino d’eccezione quale Roy Hargrove, mentre l’organista Vito Di Modugno e il sassofonista Vittorio Gennari, due musicisti dalla lunga carriera, ma praticamente sconosciuti a critica e appassionati, hanno ottenuto significativi consensi discografici grazie all’intuizione dell’etichetta. Non è mancata nemmeno la continuità con il passato grazie ai dischi del pianista siciliano Salvatore Bonafede e alla all stars band denominata Jazz Tribe, con personaggi di punta del mondo Red come Bobby Watson, Victor Lewis, Ray Mantilla.
Woody Shaw (ph: E.Carminati) / Elena Carminati (ph: M.Boscolo)
Questo vasto e notevolissimo catalogo è stato presentato, nel corso del tempo, con una particolare cura per la parte grafica, elegante e immediatamente riconoscibile, lontana dagli stereotipi di tanta discografia. Stilizzata, essenziale, in grado di proporre l’attualità della musica anche attraverso la modernità dell’immagine grazie alle scelte grafiche di Marco Pennisi che, dopo decenni di collaborazione, nel 2021 ha acquisito la proprietà della Red Records.
Questo vasto e notevolissimo catalogo è stato presentato, nel corso del tempo, con una particolare cura per la parte grafica, elegante e immediatamente riconoscibile, lontana dagli stereotipi di tanta discografia. Stilizzata, essenziale, in grado di proporre l’attualità della musica anche attraverso la modernità dell’immagine grazie alle scelte grafiche di Marco Pennisi che, dopo decenni di collaborazione, nel 2021 ha acquisito la proprietà della Red Records. Il progetto principale è il rilancio dell’intera produzione soprattutto attraverso la sua ristampa in vinile di alta qualità, in grado di proporre un ascolto all’altezza della tecnologia contemporanea. Un programma che punta sulla qualità della musica e del suono in un’epoca dove quest’ultimo è scarsamente valorizzato dalla diffusione musicale attraverso computer, ipad, telefonini.
Ma questa operazione ha anche un altro, rilevante significato, perché se è vero che per il jazz il disco equivale al quadro per la pittura, mantenere disponibili le centinaia di titoli del catalogo Red Records vuol dire non disperdere un patrimonio culturale importante per la storia jazzistica degli ultimi decenni e, più in generale, per l’intera cultura musicale dei nostri tempi.
Maurizio Franco
musicologo, docente, scrittore
maggio 2021
Da sinistra a destra: Tommaso Belletti (graphic designer), Cem Cansu (store, logistics), Marco Pennisi, Sergio Veschi, Mauro Santoro (graphic designer), Margherita Pennisi (partner, marketing).
Vorrei ringraziare tutti i fotografi che con le loro immagini hanno contribuito a rendere possibile il sito e le copertine della Red. In particolare Elena Carminati per la sua amicizia di oltre vent’anni : le tue foto erano sulle copertine della Red ben prima che ci conoscessimo; Carlo Verri che mi ha fatto un regalo importante; Pino Ninfa per lo scambio e il continuo confronto; Mirko Boscolo che ho conosciuto da poco ma che conosco da anni. Copertine e sito sono popolate da belle immagini di Giordano Minora, Carlo Pieroni, Mimmo Rossi, Luisa Cairati, Paola Bensi, Riccardo Schwamenthal, Roberto Masotti, Gloriano Odero, e molti molti altri a cui va il mio ringraziamento.
Marco Pennisi