Sphere
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Qualunque gruppo che sia stato insieme per così tanto tempo, non potrà che pensare e respirare in modo coeso. Questo è un quartetto il cui livello è straordinariamente alto. Sphere è un metronomo finemente calibrato, con un’anima
„
Mark Gilbert
«…poi arrivò il trionfo su Red Records, Sphere on Tour, registrato a Bologna nel 1985 e pubblicato nel 1986. Fu ritenuto una dichiarazione abbastanza potente da essere nominato “Disco della settimana” dal New York Times».
Ira Gitler
«Sphere era il secondo nome di Thelonious Monk, e il quartetto fondato da Charlie Rouse e Ben Riley che avevano collaborato con lui, nacque proprio come omaggio esplicito alla sua musica, (…). Col passare del tempo le cose sono cambiate: i quattro musicisti si sono studiati di uscire dai limiti della “rilettura” e di ampliare il loro repertorio con brani nuovi, caratterizzati tuttavia da certe sonorità, certi ritmi, certi “colori”. Sulla carta il protagonista dell’operazione, che ha ormai poco di commemorativo e revivalistico, sembrerebbe Charlie Rouse che passò accanto a Thelonious più di dieci anni e ne ha assorbito profondamente la lezione. Il suo fraseggio essenziale, proposto con una “staccato” che non abbandona mai il registro medio-alto, ricorda il maestro abbastanza bene. Intanto, Ben Riley, l’altro socio fondatore del quartetto è un superbo batterista che meriterebbe più larga rinomanza per la sua finissima musicalità e soprattutto per il gioco di spazzole portato a livelli magistrali. E poi il magnifico pianista Kenny Barron e il possente contrabbassista Buster Williams sono molto di più e di meglio di una coppia di elementi aggiunti. Sono, per cominciare, gli autori della maggior parte delle pagine originali inserite nel repertorio (Dual Force e Taymisha sono di Williams, le eccellenti Spiral e Scratch sono di Barron) e inoltre hanno un ruolo di “ancoraggio” armonico che è determinante per la cifra stilistica del gruppo. In questo album, molto raccomandabile, è proprio il terzetto della sezione ritmica (una delle più trascinanti che abbia oggi il jazz) a scegliere la rotta: che è di matrice bop, e si snoda sicura tra episodi solistici di gran classe e parti d’insieme saldamente architettate».
Salvatore G. Biamonte
«Questo è un concerto di alto livello, suonato da un gruppo straordinario».
Ira Gitler
«In questa incisione che ripropone parte del concerto dato al festival perugino del 14 luglio 1986, troviamo tutti brani originali, nati nel gruppo di cui tre Williams: il blues Tokudo, e diciamo così due “Kinderszenen” cioè il delicatissimo Christina, ritratto di una piccola nipote (è l’unico brano già noto, attraverso i Timeless All Stars), e il drammatico Deceptakon, ispirato a un telefilm fantastico per ragazzi. Di Barron è invece Saud’s Song, dedicato al nome musulmano (e alla musica afroamericana) di McCoy Tyner. Al di là del contenuto tematico accuratissimo, e vario, c’è poi la grande qualità di solisti impegnati in estesi spazi a elaborarlo: Rouse con il suo sax che a volte accentua le frasi in una concisione, appunto monkiana; Barron che si dimostra oggi, dentro e fuori gli Sphere, uno dei pianisti dalla più sottile tessitura armonica e ritmica; Williams con le sue linee marcate e fluenti (e l’assolo in Tokudo è da antologia); Riley con il potente impulso e il raffinato gioco delle spazzole: quarantatré minuti spesi davvero bene da musicisti e ascoltatori». Sphere Live At Umbria Jazz
Gian Mario Maletto, Musica Jazz