Massimo Urbani

Massimo Urbani

Uno stupendo fiore carnivoro. L’incontinenza espressiva produce una musica sbrigliata, impetuosa, a rotta di collo contro le ringhiere che chiostrano i palazzoni di borgata. Il jazz italiano capisce subito di non poterne fare a meno
Stefano Solventi, Sentireascoltare

«Con Easy to Love (nome che prende il titolo dalla canzone omonima di Cole Porter presente nel disco), album der man de Roma Massimo Urbani e registrato negli studi AT Sonic della capitale nel Gennaio del 1987, ci si trova davanti ad un album bello, ma bello veramente, non solo nella discografia del sassofonista romano, ma anche in generale del panorama jazz italiano.
Suona dinamico, estroso, carico di furore, grazie a quattro delle espressioni più accattivanti del jazz degli anni ’80, molta della meglio gioventù di quegli anni: lo stesso Urbani a capo della brigata, Luca Flores al pianoforte, Furio di Castri (che con Urbani ha vissuto tante stagioni musicali, fin dall’arrivo a Roma di Di Castri alla fine dei ’70, e anche un’autentica amicizia terminata solo alla morte del musicista romano nel 1993) al contrabbasso e Roberto Gatto alla batteria sugli scudi, pronti ad esaltarsi tirando la volata al sublime contralto di Urbani».
Caravan, Debaser

«Massimo Urbani è stato un lampo che ha illuminato a giorno le notti del jazz italiano. Dotato di un talento puro e di una fervida vena creativa, rimane uno dei più grandi musicisti jazz mai apparsi in Italia. La sua cultura musicale era molto vasta, e Urbani era stato in prima battuta influenzato da Charlie Parker e, successivamente, da John Coltrane e Albert Ayler, straordinari innovatori nella storia del jazz e portatori, al di là della vicenda umana, di una forte vena spirituale. Urbani è stato un musicista tormentato, baciato dal talento ma totalmente inadeguato a vivere una vita normale».
Marco Giorgi

«Con Easy to Love (nome che prende il titolo dalla canzone omonima di Cole Porter presente nel disco), album der man de Roma Massimo Urbani e registrato negli studi AT Sonic della capitale nel Gennaio del 1987, ci si trova davanti ad un album bello, ma bello veramente, non solo nella discografia del sassofonista romano, ma anche in generale del panorama jazz italiano.
Suona dinamico, estroso, carico di furore, grazie a quattro delle espressioni più accattivanti del jazz degli anni ’80, molta della meglio gioventù di quegli anni: lo stesso Urbani a capo della brigata, Luca Flores al pianoforte, Furio di Castri (che con Urbani ha vissuto tante stagioni musicali, fin dall’arrivo a Roma di Di Castri alla fine dei ’70, e anche un’autentica amicizia terminata solo alla morte del musicista romano nel 1993) al contrabbasso e Roberto Gatto alla batteria sugli scudi, pronti ad esaltarsi tirando la volata al sublime contralto di Urbani».
Caravan, Debaser

«Massimo Urbani è stato un lampo che ha illuminato a giorno le notti del jazz italiano. Dotato di un talento puro e di una fervida vena creativa, rimane uno dei più grandi musicisti jazz mai apparsi in Italia. La sua cultura musicale era molto vasta, e Urbani era stato in prima battuta influenzato da Charlie Parker e, successivamente, da John Coltrane e Albert Ayler, straordinari innovatori nella storia del jazz e portatori, al di là della vicenda umana, di una forte vena spirituale. Urbani è stato un musicista tormentato, baciato dal talento ma totalmente inadeguato a vivere una vita normale».
Marco Giorgi