Franco D'Andrea

Franco D’Andrea

Un D’Andrea entusiasmante, che lascia le briglie sciolte alla propria interiorità. Es è un disco ammirevole e imprescindibile
G. Piacentino, Musica Jazz

«La verità è che questo non è soltanto il più bel disco registrato finora da D’Andrea, che è stato da principio ed è ora più che mai, uno dei solisti più importanti espressi dal nostro jazz: è anche uno dei più notevoli dischi di jazz italiani realizzato fino ad oggi. D’Andrea non si preoccupa di fare il rivoluzionario: si riallaccia chiaramente, invece, alla grande tradizione del piano jazz americano: ma nel rispetto di certe regole D’Andrea suona musica assolutamente “sua”, improvvisata da cima a fondo, e però sempre strutturata, coerente e sempre affascinante. Ed ogni volta che ho ascoltato il disco, la musica mi è parsa nuova e diversa, tanto è ricca la fantasia del suo autore; e ogni volta mi è giunta fresca ed elegante come al primo ascolto».
Arrigo Polillo, Musica Jazz

«Non starò a fare la storia di Franco D’Andrea, ma mi preme sottolineare come questo pianista sia sempre stato uno dei protagonisti delle svolte più o meno grandi che il jazz ha compiuto in Italia. Alla svolta odierna D’Andrea si presenta con un quartetto nuovo di zecca e con un disco che ne attesta il grandissimo valore. Che musica fa D’Andrea con questo nuovo quartetto? Potrei rispondere con una frase tratta dalle note di copertina di Alberto Rodriguez: “Mi colpisce di D’Andrea il suo non essere un musicista di potere, mi piace la sua identità di artista che sa cos’è la fatica e la poesia”». Made in Italy
Giuseppe Piacentino, Musica Jazz

«Per il vero, stima e ammirazione, continuano a crescere ad ogni sua esibizione e in occasione di un suo nuovo disco. Inoltre in questi ultimi anni il suo gioco pianistico ha acquistato una relaxion eccezionale che favorisce un timing perfetto. D’Andrea può ora permettersi i più arditi itinerari senza con ciò alterare minimamente la continuità, la dinamica e la progressione della propria azione. Un timing giusto è indispensabile per potersi esprimere a certi livelli, ma quando si fraseggia, come nel caso di D’Andrea, utilizzando una vastissima gamma e una fortissima alternanza di scansioni ritmiche, (ciò che è appunto sinonimo di “alti livelli”) il suo controllo può risultare assai arduo. Se la cosa è gestita con la massima nonchalance, ecco che allora ci si può spingere a parlare di espressione artistica di grande rilievo». My One And Only Love
Bruno Schiozzi, Musica Jazz

«È abbastanza anomalo, per il jazz italiano, dover accogliere come capolavori una coppia di album pubblicati a distanza di più di un anno, ma provenienti entrambi dalla registrazione live di un unico concerto. My Shuffle completa infatti la memoria dell’esibizione del quartetto di Franco D’Andrea al festival francese di Montpellier: il primo grande frammento “Quartet Live” risultò miglior disco italiano del 1986 nel sondaggio Top Jazz e questa appendice è quanto meno dello stesso livello». My Shuffle
Gian Mario Maletto, Musica Jazz

«A trasformare questo interesse in ammirazione sono immediatamente la coerenza e l’intelligenza del progetto, oltre che la fantasiosa acutezza della sua esecuzione, da parte di tutti. Questa No Idea Of Time, non è una suite divisa in due parti, come potrebbe sembrare, bensì la rappresentazione in due versioni, sia pur di diversa estensione, di un unico brano, come se il quartetto ci invitasse nel suo laboratorio per mostrarci il suo modo di lavorare, o come se D’Andrea volesse risparmiare a un futuro archeologo del jazz italiano la faticosa ricerca, come ormai si usa, di alternate takes. Proprio No Idea of Time offre, a chi ricordasse la versione per piano solo contenuta in Es, la prima emozione: è come rivedere alla moviola il ricomporsi, a rovescio, di una deflagrazione. Quelle che là erano frasi nervose che sfuggivano alle dita del pianista, qui vanno a ricollocarsi docili in un tema decisamente bluesy, una sorta di riff, che il quartetto enuncia e poi stravolge in un irresistibile accelerazione (ma alla fine di ciascun brano troveremo invece, per simmetria, un atterraggio morbido). Le due versioni conservano lo schema fatto soprattutto (lo annuncia il titolo) di variazioni di tempo. Ma se identici sono il viaggio, le singole tappe e i viaggiatori, a variare sono le idee che a questi ultimi passano per il cervello. Una prova di collettiva maestria». No Idea Of Time
Gian Mario Maletto, Musica Jazz

«Tutto l’album è una prova di maturità eccezionale, sul piano solistico, competitivo, organizzativo. C’è ovunque un senso della costruzione perfettamente dettagliato: dalle preludianti “anticipazioni” tematiche di piano solo, alle esposizioni arrangiate in unisono, dalle sintetiche ricapitolazioni centrali del tema, ai cameristici intermezzi senza tempo, alle brucianti sequenze free, alle chiuse sempre diverse e spesso sorprendenti. Un album-bilancio dell’esperienza quartettista, e il primo passo verso nuovi orizzonti: in definitiva un gran bel disco».
Pino Candini, Musica Jazz

«La funzione di Luis Agudo non è quella di semplice comprimario. Nel percussionista D’Andrea sembra aver trovato la propria parte d’ombra, il lato oscuro e selvatico, l’effetto sorpresa, l’iconoclasta che si permette di accidentare senza scrupolo alcuno gli spazi di più suffisso lirismo. La carriera musicale di D’Andrea si può leggere come un costante conflitto (o composizione del conflitto) tra impulso e razionalizzazione; e questo Enrosadira con la sua straordinaria vitalità, ne è l’espressione più palese in assoluto». Enrosadira
Giuseppe Piacentino, Musica Jazz

Franco D’Andrea

Un D’Andrea entusiasmante, che lascia le briglie sciolte alla propria interiorità. Es è un disco ammirevole e imprescindibile
G. Piacentino, Musica Jazz

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«La verità è che questo non è soltanto il più bel disco registrato finora da D’Andrea, che è stato da principio ed è ora più che mai, uno dei solisti più importanti espressi dal nostro jazz: è anche uno dei più notevoli dischi di jazz italiani realizzato fino ad oggi. D’Andrea non si preoccupa di fare il rivoluzionario: si riallaccia chiaramente, invece, alla grande tradizione del piano jazz americano: ma nel rispetto di certe regole D’Andrea suona musica assolutamente “sua”, improvvisata da cima a fondo, e però sempre strutturata, coerente e sempre affascinante. Ed ogni volta che ho ascoltato il disco, la musica mi è parsa nuova e diversa, tanto è ricca la fantasia del suo autore; e ogni volta mi è giunta fresca ed elegante come al primo ascolto».
Arrigo Polillo, Musica Jazz

«Non starò a fare la storia di Franco D’Andrea, ma mi preme sottolineare come questo pianista sia sempre stato uno dei protagonisti delle svolte più o meno grandi che il jazz ha compiuto in Italia. Alla svolta odierna D’Andrea si presenta con un quartetto nuovo di zecca e con un disco che ne attesta il grandissimo valore. Che musica fa D’Andrea con questo nuovo quartetto? Potrei rispondere con una frase tratta dalle note di copertina di Alberto Rodriguez: “Mi colpisce di D’Andrea il suo non essere un musicista di potere, mi piace la sua identità di artista che sa cos’è la fatica e la poesia”». Made in Italy
Giuseppe Piacentino, Musica Jazz

«Per il vero, stima e ammirazione, continuano a crescere ad ogni sua esibizione e in occasione di un suo nuovo disco. Inoltre in questi ultimi anni il suo gioco pianistico ha acquistato una relaxion eccezionale che favorisce un timing perfetto. D’Andrea può ora permettersi i più arditi itinerari senza con ciò alterare minimamente la continuità, la dinamica e la progressione della propria azione. Un timing giusto è indispensabile per potersi esprimere a certi livelli, ma quando si fraseggia, come nel caso di D’Andrea, utilizzando una vastissima gamma e una fortissima alternanza di scansioni ritmiche, (ciò che è appunto sinonimo di “alti livelli”) il suo controllo può risultare assai arduo. Se la cosa è gestita con la massima nonchalance, ecco che allora ci si può spingere a parlare di espressione artistica di grande rilievo». My One And Only Love
Bruno Schiozzi, Musica Jazz

«È abbastanza anomalo, per il jazz italiano, dover accogliere come capolavori una coppia di album pubblicati a distanza di più di un anno, ma provenienti entrambi dalla registrazione live di un unico concerto. My Shuffle completa infatti la memoria dell’esibizione del quartetto di Franco D’Andrea al festival francese di Montpellier: il primo grande frammento “Quartet Live” risultò miglior disco italiano del 1986 nel sondaggio Top Jazz e questa appendice è quanto meno dello stesso livello». My Shuffle
Gian Mario Maletto, Musica Jazz

«A trasformare questo interesse in ammirazione sono immediatamente la coerenza e l’intelligenza del progetto, oltre che la fantasiosa acutezza della sua esecuzione, da parte di tutti. Questa No Idea Of Time, non è una suite divisa in due parti, come potrebbe sembrare, bensì la rappresentazione in due versioni, sia pur di diversa estensione, di un unico brano, come se il quartetto ci invitasse nel suo laboratorio per mostrarci il suo modo di lavorare, o come se D’Andrea volesse risparmiare a un futuro archeologo del jazz italiano la faticosa ricerca, come ormai si usa, di alternate takes. Proprio No Idea of Time offre, a chi ricordasse la versione per piano solo contenuta in Es, la prima emozione: è come rivedere alla moviola il ricomporsi, a rovescio, di una deflagrazione. Quelle che là erano frasi nervose che sfuggivano alle dita del pianista, qui vanno a ricollocarsi docili in un tema decisamente bluesy, una sorta di riff, che il quartetto enuncia e poi stravolge in un irresistibile accelerazione (ma alla fine di ciascun brano troveremo invece, per simmetria, un atterraggio morbido). Le due versioni conservano lo schema fatto soprattutto (lo annuncia il titolo) di variazioni di tempo. Ma se identici sono il viaggio, le singole tappe e i viaggiatori, a variare sono le idee che a questi ultimi passano per il cervello. Una prova di collettiva maestria». No Idea Of Time
Gian Mario Maletto, Musica Jazz

«Tutto l’album è una prova di maturità eccezionale, sul piano solistico, competitivo, organizzativo. C’è ovunque un senso della costruzione perfettamente dettagliato: dalle preludianti “anticipazioni” tematiche di piano solo, alle esposizioni arrangiate in unisono, dalle sintetiche ricapitolazioni centrali del tema, ai cameristici intermezzi senza tempo, alle brucianti sequenze free, alle chiuse sempre diverse e spesso sorprendenti. Un album-bilancio dell’esperienza quartettista, e il primo passo verso nuovi orizzonti: in definitiva un gran bel disco».
Pino Candini, Musica Jazz

«La funzione di Luis Agudo non è quella di semplice comprimario. Nel percussionista D’Andrea sembra aver trovato la propria parte d’ombra, il lato oscuro e selvatico, l’effetto sorpresa, l’iconoclasta che si permette di accidentare senza scrupolo alcuno gli spazi di più suffisso lirismo. La carriera musicale di D’Andrea si può leggere come un costante conflitto (o composizione del conflitto) tra impulso e razionalizzazione; e questo Enrosadira con la sua straordinaria vitalità, ne è l’espressione più palese in assoluto». Enrosadira
Giuseppe Piacentino, Musica Jazz