Bobby Watson
“
Love Remains è generalmente considerato un album con una delle migliori formazioni di Watson
ed è riconosciuto come un classico. Non a caso, infatti, la Penguin Guide del Jazz gli ha assegnato il
suo punteggio più alto e lo ha incluso nella propria “collezione di imprescindibili” – un disco “must
have” per qualsiasi raccolta jazz. Non c’è quindi da stupirsi che Love Remains sia diventato un
classico.
„
Stuart Nicholson
«Watson dà una grande prova sia come autore che come esecutore, interprete e creatore di linee melodiche raffinate: in poche parole suona e interpreta il jazz. L’Open Form Trio è a dir poco sublime». Round Trip
Paolo Orvietani, JazzNotice
«Inciso a ventiquattr’ore di distanza dall’eccellente Appointment In Milano, quest’album è un ulteriore testimonianza su quel singolare sharing musicale che Bobby Watson ha trovato in Italia con l’Open Form Trio, seguendo percorsi svariati tra tradizione del blues, il jazz modale, improvvisazioni che ricordano le battaglie del free e qualche scappatella di gusto rollinsiano (si fa per dire) nell’area tropicale. A differenza del disco precedente, qui la partita non si gioca tutta con composizioni originali: si parte anzi da Ornette col brano del titolo, si va avanti con una ballad delle più tenere (There Is No Greater Love) e si prosegue con quel Blue in Green che è forse fra le pagine più significative nate dalla collaborazione Di Miles Davis con Bill Evans. C’è anche un ricordo di Lee Morgan con Ceora, e si completa il programma con Sweet Dreams di Bassini (episodio in tre quarti che non sfigura poi troppo di fronte agli altri firmati da musicisti assai più rinomati) e con un omaggio di Watson alla memoria di un sassofonista della Guinea che gli era caro, Jo Maka». Round Trip
Salvatore G. Biamonte, Musica Jazz
«Watson è caldamente supportato da una delle migliori sezioni ritmiche italiane. Chi scrive ha incontrato per la prima volta l’Open From Trio nell’eccellente Bapriza, registrato nel 1980, dove i tre avevano un rapporto tale da far pensare che fossero un vero trio. Altri cinque anni di esperienza condivisa li hanno resi ancora più empatici, se possibile. Ora, sono maggiori della somma delle loro talentuose parti. Sono tre individui reattivi, fantasiosi e attenti, ma agiscono come un solo uomo con sei braccia e una coordinazione incredibile. Inoltre, per un uomo, sono solisti intelligenti. Bobby Watson è un grande musicista e sembra che questo album sia la migliore testimonianza della sua parentela con i pochi eletti». Appointment In Milano
Mark Gilbert
«Un gran bel disco! La mia prima impressione è che si tratti di un lavoro solare, positivo. Bobby Watson è sicuramente in gran forma, sciorina degli assoli molto lirici, tecnici quanto basta (ne ha proprio da vendere), ma soprattutto molto cantabili. Sarà perché questo lavoro è registrato nel paese del bel canto, o forse per l’osmosi che l’Open Form Trio ha con l’italiano (non esagero: ascoltare per credere), ma su tutto il lavoro aleggia un’energia, una gioia di fare musica che è impressionante. Da Appointment In Milano (pezzo eccezionale) fino a Funcalypso (grandissimo Zanchi), si alternano blues, ballads, calipso, suonati da Watson con una voglia di creare musica da far venire la pelle d’oca. In (I’m) Always Missing You, il suono del sax sembra quasi un’armonica; in Ballando (Dancing), Watson va in crescendo, sia per liricità, che per intensità; delle note acute come fischi concludono l’epilogo di tre minuti sullo stato dell’arte del sax: If Bird Could See Me Now. Credo che Bird non solo lo stesse vedendo, ma che fosse accanto a lui nel pezzo dedicatogli. Musica indicata contro la depressione e il logorio prodotto da certa musica stereotipata». Appointment In Milano
Paolo Orvietani, JazzNotice
«Questo gustoso Perpetual Groove, proviene da un’incisione live effettuata a “Le Scimmie” di Milano. Un disco di quelli che non devono passare inosservati, non accusando certo approssimazioni esecutive o routine espressiva. Al centro del quadro è comunque Bobby Watson che, spalleggiato egregiamente, pare proprio impegnarsi al massimo delle sue possibilità».
Bruno Schiozzi, Musica Jazz
«Tutti sanno che Bobby Watson è un musicista eclettico, un solista a suo agio nei contesti più diversi: dal funky, al bop, al rhythm ‘n’ blues. Ma con questo disco conferma, qualora ce ne fosse stata necessità, di essere anche un eccellente arrangiatore. Del resto esiste un’ampia letteratura in proposito: Watson è stato direttore musicale del gruppo di Art Blakey e anche membro del 29th Street Saxophone Quartet, ma non è certo conosciuto dal grande pubblico come leader di big band. Ed ecco che arriva questo Live at Someday in Tokyo a colmare la lacuna. Alla guida di un’affiatata big band di 16 elementi composta da alcuni dei più prestigiosi bandleaders giapponesi (non a caso il nome della formazione è Tokyo Leaders Big Band) riuniti dal producer, Shigenobu Mori, Watson ha arrangiato sei composizioni originali, con le quali dimostra un’assoluta padronanza del mezzo espressivo, grande abilità nel variare le atmosfere e le dinamiche, oltre alla capacità di mettere a proprio agio i vari solisti in contesti a loro congeniali: insomma, tutte le doti più importanti di un direttore di big band. Si parte con Dual Conversation, un brano basato su variazioni armoniche sopra un pedale, ricco di atmosfera e mutamenti dinamici. Nel secondo brano, Ms. B.C., Watson si ritaglia uno spazio solistico suonando da par suo, ben assecondato da una ritmica precisa e swingante. Ottimi anche gli interventi del sax tenore e della tromba. Ma è nella ballad Long Way Home che Watson mette in mostra capacità notevolissime di orchestrazione, con atmosfere ricercate e raffinate, grande padronanza nella giustapposizione delle sezioni, anche nei passaggi più intricati armonicamente. Si conclude con Unfold (che contiene un divertente inciso salsa) e con il trascinante In Case You Missed lt. Senza dubbio un bel disco, che farà piacere ai cultori delle big band senza del resto scontentare gli amanti del Watson solista». Bobby Watson & Tokyo Leaders
Gabriele Comegllo, JazzNotice
«Eric Dolphy ha inciso per la Red Records? Dalla front cover sembrerebbe di sì. È talmente forte la somiglianza fra i due, che questo lavoro mi ha subito colpito e affascinato. Seconda sorpresa è la saggia decisione di registrare quattro (cinque se consideriamo All the Things of Jo Maka) standard su sei pezzi. La terza sorpresa è la data di registrazione, che è la stessa del grande Appointment In Milano. La mia riflessione è questa: in molti lavori, noto un voler ad ogni costo inserire propri brani, i quali molte volte non sono altro che un semplice esercizio tecnico più un riff et voilà, il gioco è fatto. Ho paura che il disagio di confrontarsi con la storia del jazz faccia assumere ai piccoli Gershwin o Ellington posizioni velleitarie verso la composizione. Watson dà una grande prova sia come autore che come esecutore, interprete e creatore di linee melodiche raffinate: in poche parole suona e interpreta il jazz. Ascoltate Blue in Green: dopo l’introduzione di contrabbasso e sax, quando entra il piano con la batteria, sembra che la musica, dopo la tensione accumulata, si sciolga e si dispieghi come una vela al vento: è la magia della musica e di Bobby Watson. Forse hanno proprio ragione i piccoli Gershwin: è meglio non confrontarsi, rimanendo in porto al sicuro invece di prendere il mare e vivere. L’Open Form Trio è a dir poco sublime: professionali e musicali da far invidia ai migliori ensemble stranieri». Round Trip
Paolo Orvietani, JazzNotice
As sideman
Bobby Watson
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Love Remains è generalmente considerato un album con una delle migliori formazioni di Watson
ed è riconosciuto come un classico. Non a caso, infatti, la Penguin Guide del Jazz gli ha assegnato il
suo punteggio più alto e lo ha incluso nella propria “collezione di imprescindibili” – un disco “must
have” per qualsiasi raccolta jazz. Non c’è quindi da stupirsi che Love Remains sia diventato un
classico.
„
Stuart Nicholson
As sideman
«Watson dà una grande prova sia come autore che come esecutore, interprete e creatore di linee melodiche raffinate: in poche parole suona e interpreta il jazz. L’Open Form Trio è a dir poco sublime». Round Trip
Paolo Orvietani, JazzNotice
«Inciso a ventiquattr’ore di distanza dall’eccellente Appointment In Milano, quest’album è un ulteriore testimonianza su quel singolare sharing musicale che Bobby Watson ha trovato in Italia con l’Open Form Trio, seguendo percorsi svariati tra tradizione del blues, il jazz modale, improvvisazioni che ricordano le battaglie del free e qualche scappatella di gusto rollinsiano (si fa per dire) nell’area tropicale. A differenza del disco precedente, qui la partita non si gioca tutta con composizioni originali: si parte anzi da Ornette col brano del titolo, si va avanti con una ballad delle più tenere (There Is No Greater Love) e si prosegue con quel Blue in Green che è forse fra le pagine più significative nate dalla collaborazione Di Miles Davis con Bill Evans. C’è anche un ricordo di Lee Morgan con Ceora, e si completa il programma con Sweet Dreams di Bassini (episodio in tre quarti che non sfigura poi troppo di fronte agli altri firmati da musicisti assai più rinomati) e con un omaggio di Watson alla memoria di un sassofonista della Guinea che gli era caro, Jo Maka». Round Trip
Salvatore G. Biamonte, Musica Jazz
«Watson è caldamente supportato da una delle migliori sezioni ritmiche italiane. Chi scrive ha incontrato per la prima volta l’Open From Trio nell’eccellente Bapriza, registrato nel 1980, dove i tre avevano un rapporto tale da far pensare che fossero un vero trio. Altri cinque anni di esperienza condivisa li hanno resi ancora più empatici, se possibile. Ora, sono maggiori della somma delle loro talentuose parti. Sono tre individui reattivi, fantasiosi e attenti, ma agiscono come un solo uomo con sei braccia e una coordinazione incredibile. Inoltre, per un uomo, sono solisti intelligenti. Bobby Watson è un grande musicista e sembra che questo album sia la migliore testimonianza della sua parentela con i pochi eletti». Appointment In Milano
Mark Gilbert
«Un gran bel disco! La mia prima impressione è che si tratti di un lavoro solare, positivo. Bobby Watson è sicuramente in gran forma, sciorina degli assoli molto lirici, tecnici quanto basta (ne ha proprio da vendere), ma soprattutto molto cantabili. Sarà perché questo lavoro è registrato nel paese del bel canto, o forse per l’osmosi che l’Open Form Trio ha con l’italiano (non esagero: ascoltare per credere), ma su tutto il lavoro aleggia un’energia, una gioia di fare musica che è impressionante. Da Appointment In Milano (pezzo eccezionale) fino a Funcalypso (grandissimo Zanchi), si alternano blues, ballads, calipso, suonati da Watson con una voglia di creare musica da far venire la pelle d’oca. In (I’m) Always Missing You, il suono del sax sembra quasi un’armonica; in Ballando (Dancing), Watson va in crescendo, sia per liricità, che per intensità; delle note acute come fischi concludono l’epilogo di tre minuti sullo stato dell’arte del sax: If Bird Could See Me Now. Credo che Bird non solo lo stesse vedendo, ma che fosse accanto a lui nel pezzo dedicatogli. Musica indicata contro la depressione e il logorio prodotto da certa musica stereotipata». Appointment In Milano
Paolo Orvietani, JazzNotice
«Questo gustoso Perpetual Groove, proviene da un’incisione live effettuata a “Le Scimmie” di Milano. Un disco di quelli che non devono passare inosservati, non accusando certo approssimazioni esecutive o routine espressiva. Al centro del quadro è comunque Bobby Watson che, spalleggiato egregiamente, pare proprio impegnarsi al massimo delle sue possibilità».
Bruno Schiozzi, Musica Jazz
«Tutti sanno che Bobby Watson è un musicista eclettico, un solista a suo agio nei contesti più diversi: dal funky, al bop, al rhythm ‘n’ blues. Ma con questo disco conferma, qualora ce ne fosse stata necessità, di essere anche un eccellente arrangiatore. Del resto esiste un’ampia letteratura in proposito: Watson è stato direttore musicale del gruppo di Art Blakey e anche membro del 29th Street Saxophone Quartet, ma non è certo conosciuto dal grande pubblico come leader di big band. Ed ecco che arriva questo Live at Someday in Tokyo a colmare la lacuna. Alla guida di un’affiatata big band di 16 elementi composta da alcuni dei più prestigiosi bandleaders giapponesi (non a caso il nome della formazione è Tokyo Leaders Big Band) riuniti dal producer, Shigenobu Mori, Watson ha arrangiato sei composizioni originali, con le quali dimostra un’assoluta padronanza del mezzo espressivo, grande abilità nel variare le atmosfere e le dinamiche, oltre alla capacità di mettere a proprio agio i vari solisti in contesti a loro congeniali: insomma, tutte le doti più importanti di un direttore di big band. Si parte con Dual Conversation, un brano basato su variazioni armoniche sopra un pedale, ricco di atmosfera e mutamenti dinamici. Nel secondo brano, Ms. B.C., Watson si ritaglia uno spazio solistico suonando da par suo, ben assecondato da una ritmica precisa e swingante. Ottimi anche gli interventi del sax tenore e della tromba. Ma è nella ballad Long Way Home che Watson mette in mostra capacità notevolissime di orchestrazione, con atmosfere ricercate e raffinate, grande padronanza nella giustapposizione delle sezioni, anche nei passaggi più intricati armonicamente. Si conclude con Unfold (che contiene un divertente inciso salsa) e con il trascinante In Case You Missed lt. Senza dubbio un bel disco, che farà piacere ai cultori delle big band senza del resto scontentare gli amanti del Watson solista». Bobby Watson & Tokyo Leaders
Gabriele Comegllo, JazzNotice
«Eric Dolphy ha inciso per la Red Records? Dalla front cover sembrerebbe di sì. È talmente forte la somiglianza fra i due, che questo lavoro mi ha subito colpito e affascinato. Seconda sorpresa è la saggia decisione di registrare quattro (cinque se consideriamo All the Things of Jo Maka) standard su sei pezzi. La terza sorpresa è la data di registrazione, che è la stessa del grande Appointment In Milano. La mia riflessione è questa: in molti lavori, noto un voler ad ogni costo inserire propri brani, i quali molte volte non sono altro che un semplice esercizio tecnico più un riff et voilà, il gioco è fatto. Ho paura che il disagio di confrontarsi con la storia del jazz faccia assumere ai piccoli Gershwin o Ellington posizioni velleitarie verso la composizione. Watson dà una grande prova sia come autore che come esecutore, interprete e creatore di linee melodiche raffinate: in poche parole suona e interpreta il jazz. Ascoltate Blue in Green: dopo l’introduzione di contrabbasso e sax, quando entra il piano con la batteria, sembra che la musica, dopo la tensione accumulata, si sciolga e si dispieghi come una vela al vento: è la magia della musica e di Bobby Watson. Forse hanno proprio ragione i piccoli Gershwin: è meglio non confrontarsi, rimanendo in porto al sicuro invece di prendere il mare e vivere. L’Open Form Trio è a dir poco sublime: professionali e musicali da far invidia ai migliori ensemble stranieri». Round Trip
Paolo Orvietani, JazzNotice